Fu un medico brillante, capace di mettere la chirurgia estetica a servizio del percorso di autodeterminazione della donna.
Oggi non sono in molti a conoscere la figura di Suzanne Noël. A celebrare la sua memoria, resta una piccola strada parigina ombreggiata dagli alberi nel quartiere di Père-Lachaise, ma la storia di questa donna è una di quelle che meritano di essere raccontate. A parer mio é una tra le più belle storie che unisce il femminismo alla chirurgia estetica.
Suffragetta e fondatrice delle Soroptimist accoglieva di nascosto nel suo studio le donne, spesso vedove per la guerra appena finita, e le motivava ad intraprendere una nuova vita autonoma. Il bisturi era il mezzo con cui rispondeva alle richieste di antiaging insospettabili per l’epoca.
Suzanne Noël visse a cavallo tra l’800 e il ‘900 in Francia: fu un medico brillante ed è considerata una pioniera della chirurgia estetica ma la sua attività di chirurgo era resa possibile solo perché supportata dalla figura, maschile e pertanto autorizzata, del marito dermatologo. La sua inesauribile energia le permise di affiancare alla professione un costante e crescente impegno per i diritti femminili che si andavano progressivamente affermando in tutta Europa. Fu tra le prime, se non la prima, a intuire l’importanza che il ruolo della chirurgia estetica poteva rivestire nella vita di una donna, nel suo percorso di autodeterminazione e di affermazione di sé.
Rivendicò il diritto, rivoluzionario per l’epoca, di essere giovani e belle e affermò a chiare lettere che migliorare il proprio aspetto, per una donna, poteva avere implicazioni molto positive anche nell’ambito della sua dimensione lavorativa. Solo una analisi che non tenga conto della situazione femminile nella Francia dell’epoca, potrebbe bollare quest’ottica come anti-femminista, come argomenta Paula J. Martin nel suo saggio “Suzanne Noël: Cosmetic Surgery, Feminism and Beauty in Early Twentieth-Century France”.
Suzanne Noël Nacque a Laon, una cittadina del nord della Francia, nel 1878, e la sua infanzia fu costellata dai lutti: i suoi quattro fratelli morirono tutti in tenera età, come accadeva spesso a quei tempi. La condizione relativamente agiata della famiglia le permise di intraprendere gli studi classici e di assimilare al contempo le idee innovative che circolavano durante la Belle Époque. Fu il primo marito, un affermato dermatologo, a incoraggiarla a iscriversi a medicina, firmando, come prevedeva la legge dell’epoca, la licenza che le avrebbe permesso di accedere al corso di studi. La studentessa si rivelò subito brillante e la maternità – la sua unica figlia, Jacqueline nacque nel 1908 – non le impedì di lavorare a fianco dei più rinomati dermatologi e chirurghi dell’epoca.
Nel 1910 affrontò il suo primo intervento su un paziente che era rimasto sfregiato in un incidente con l’acido solforico e da qui prese il via la sua carriera, che la portò – pur tra mille difficoltà – a lavorare negli ospedali parigini. Come molti medici, negli anni della prima guerra mondiale, fu in prima linea nel curare i soldati tornati feriti dal fronte e quelle terribili lacerazioni rappresentarono una formidabile palestra: fu suturando volti e corpi di giovani sfigurati che affinò le tecniche chirurgiche, ottenendo un patrimonio di conoscenze che ebbe modo di mettere a frutto negli anni successivi.
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